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La storia di Serabie, salvata dalla “canned ...

La storia di Serabie, salvata dalla “canned hunting”

In italiano potrebbe chiamarsi “caccia in scatola” ed effettivamente l’espressione rende bene l’idea. La “canned hunting” è una pratica molto diffusa in Sud Africa, dove cuccioli di leone vengono allevati dall’uomo per essere dati in pasto alle armi di cacciatori poco intraprendenti.

Volontariato con i leoni

Quando Alexandra Lamontagne si è recata in un centro di recupero di fauna selvatica in Sud Africa, pensava di andare a fare del bene agli animali. È partita dal Quebec, in Canada, con l’intenzione di fare volontariato, e inizialmente avrebbe dovuto occuparsi di scimmie. Quando è arrivata al centro, invece, le hanno detto che si sarebbe presa cura di cinque cuccioli di leone la cui destinazione sarebbe stata uno zoo in Danimarca. Alexandra ha subito instaurato un bellissimo rapporto con questi animali, specialmente con la più giovane di loro, Serabie. Ma il periodo di volontariato finisce e la ragazza torna in Canada dove fa una terribile scoperta: i cuccioli che ha aiutato ad allevare sono destinati alla “canned hunting”.

Cos’è la “canned hunting”?

Si tratta di una pratica orribile di cui Alexandra non ha mai sentito parlare. I leoni vengono allevati in vere e proprie fabbriche, le cosiddette “lion farms”, e vengono poi venduti ai cacciatori che sono in cerca di un bersaglio impressionante ma facile. Il cacciatore può, inoltre, scegliere online la sua preda in base alla testa che più gli piace da appendere in salotto. Una volta scelto, il leone viaggia in una scatola fino al recinto dove verrà cacciato, e nello stesso recinto il cacciatore viene scortato per uccidere la sua preda. A volte l’animale viene anche sedato per rendere il tutto più facile. E comunque è pur sempre un animale allevato dall’uomo, quindi sarà di certo più mansueto. I cuccioli di leone, come Serabie, spesso sono affidati ai volontari che non conoscono quale sarà la loro sorte e pensano solo di stare aiutando degli animali in difficoltà.

Un documentario per conoscere la verità

“Per tutto il tempo che sono rimasta lì, non ho capito cosa stava succedendo. Ma quando l’ho scoperto ho deciso che dovevo fare qualcosa”. Alexandra lancia una raccolta fondi per acquistare la libertà di Serabie e torna alla struttura. “Quando sono tornata a prendere Serabie mi sono guardata intorno e ho notato che c’erano altri 14 cuccioli e anche leoni più grandi, tutti probabilmente destinati alla ‘canned hunting’. È stato molto doloroso, perché ne stai salvando uno, ma sai già qual è il destino degli altri”. Serabie è stata liberata e portata in un santuario, l’Emoya Big Cat Sanctuary, dove è diventata una bellissima leonessa insieme ad altri suoi simili strappati al loro crudele destino. “Anche dopo il salvataggio di Serabie, il mio pensiero era sempre rivolto agli altri leoni allevati per morire”, continua Alexandra. “Così ho pensato che l’unica cosa che potevo fare era far conoscere al mondo questa pratica orribile. E così ho fatto attraverso il documentario ‘Blood lions'”. Secondo quanto emerge dal documentario e dai dati del South African Predator Association, il Cites (Convention for the International Trade in Endangered Species) e altri enti governativi e provinciali stimano che ovunque tra gli 800 e i mille leoni vengono sparati ogni anno solo in Sud Africa, e poco più del 50 per cento di questi cacciatori provengono dagli Stati Uniti. “Spero solo che salvando Serabie ho fatto una piccola differenza in questa pratica orribile, perché ho visto così tanti altri leoni in quella struttura ed è ancora doloroso che io non abbia potuto salvarli”, ha detto Alexandra.

Foto: The Dodo

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