Sono gli abitanti del Polo Nord nei pressi del Mare Glaciale Artico e la loro pelliccia bianca serve a mimetizzarsi nell’ambiente dei ghiacci. Un maschio adulto pesa dai 350 ai 700 kg e lo strato di grasso corporeo, sviluppato grazie a un’alimentazione strettamente proteica, gli consente di isolarsi dal freddo.
Questi animali, purtroppo, sono in serio pericolo a causa del surriscaldamento globale, della presenza negativa dell’uomo nelle zone artiche, dell’impatto ambientale delle sostanze chimiche e dei prodotti inquinanti, delle trivellazioni alla ricerca del petrolio. Lo scioglimento dei ghiacci ha portato a una minore disponibilità alimentare e la presenza dei policlorobifenili, sostanze inquinanti presenti nelle acque dell’artico, renderebbe le ossa dell’orso polare più fragili, in particolare il baculum, l’osso contenuto nel pene, con conseguente difficoltà della riproduzione che è complessa già di per sé. Le nascite previste sono, infatti, solo due e i piccoli vengono seguiti e curati per circa due anni e mezzo prima di diventare autonomi.
Altre ricerche proverebbero, poi, che l’elevata presenza di agenti inquinanti nel corpo degli orsi, nel fegato, sangue, muscoli e cervello. Carbossilati e solfonati perfluoroalchilici porterebbero a problemi riproduttivi e di sviluppo, e a una diminuzione della densità del cranio. “Non abbiamo mai avuto la possibilità di studiare agli orsi polari davvero malati, quelli che affogano o vengono mangiati da un tricheco o dai propri simili”, ha dichiarato Christian Sonne, biologo presso l’Università di Aarhus in Danimarca e autore principale dello studio sugli orsi. “Il problema potrebbe essere molto più ampio di ciò che pensiamo”.
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