Tornano le Gis, Giornate Internazionali Siua, che quest’anno si terranno il 29 e 30 ottobre prossimi a Bologna. E tornano con un titolo interessante, “Menti non umane”, che ci fa subito pensare agli animali, a quegli esseri che in maniera più o meno naturale entrano quotidianamente in sintonia con noi. Ma non solo. La cosa che più colpisce, infatti, è che tra queste menti non umane siano incluse anche quelle vegetali, piante che possiedono una loro intelligenza e sensibilità e che trasmettono informazioni.
Abbiamo chiesto al prof. Roberto Marchesini, filosofo, etologo e zooantropologo, nonché direttore della Scuola di interazione uomo-animale (Siua), di spiegarci qualcosa di più su questo argomento e di farci entrare meglio, attraverso le sue parole, nei temi che le Gis tratteranno quest’anno.
“Menti non umane”. Prof. Marchesini, ci dica come introdurrete questo tema e come queste giornate lo affronteranno.
L’intelligenza è la capacità di guardare dentro la realtà (intus legere) per farne emergere gli aspetti problematici e risolverli: è il vero protagonismo della natura che costantemente reinventa la realtà e non semplicemente vi si adegua. Non voglio con questo dire che il reale non esista, ma semplicemente che esso può essere interpretato come un campo virtuale disseminato di vincoli ma pieno di opportunità da far emergere. L’intelligenza è questa capacità di estrarre nuove opportunità dal reale e non semplicemente cogliere quelle già in bella vista. L’intelligenza è l’atto di non limitarsi a ripetere ma di creare delle nuove risposte, reinterpretando il retaggio, vale a dire ciò che sai. Le Gis vogliono ogni anno porre all’attenzione un tema specifico: quest’anno il nostro desiderio è stato quello di portare in superficie come la vita implichi la funzione intellettiva, anche se le intelligenze sono differenti nel grande universo dei viventi e l’essere umano non ne è né il vertice né la misura.
Cosa si intende per “intelligenza vegetale”? E quali sono le informazioni che le piante ci trasmettono?
Le grandi trasformazioni interpretative dell’evoluzionismo negli ultimi vent’anni – penso per esempio alla rivoluzione dell’epigenetica e alla teoria della costruzione della nicchia – hanno cambiato radicalmente il nostro modo di interpretare il vivente. Da realtà passiva, tale era nella tradizione neodarwinista e della Sintesi, sottoposta alle forze casuali della mutazione e a quelle esterne della selezione, il vivente ha riassunto un ruolo di protagonismo, al punto tale che qualcuno si è spinto ad affermare che si possa parlare di una sorta di neolamarkismo. Non credo che questo sia il termine corretto per comprendere quello che sta accadendo, i cui germi sono dentro il pensiero di Darwin stesso. Del resto il naturalista inglese ci ha lasciato un’atelier di lavoro più che una teoria completa e forse è proprio questa la ragione del suo successo. Anche le piante devono intus legere la realtà, vale a dire interpretarla e ricostruirla, attraverso modalità completamente differenti da quelle che caratterizzano l’essere-animale, la cui eterotrofia lo porta a essere peripatetico nel mondo. Ma il protagonismo vegetale è incredibile e merita tutta la nostra attenzione.
Di cosa tratta il documentario “L’albero” che presenterà domenica 30 ottobre?
Nel 1996 io, Giorgio Celli e suo figlio Davide ci soffermammo a riflettere sul rischio di un grave divorzio culturale e pedagogico tra la società, sempre più orientata verso il mondo delle immagini, la realtà virtuale, la digitalizzazione delle relazioni, in una parola sempre più contemplativa e distaccata, e il mondo della natura, che al contrario metteva in campo un’immersione totale, plurisensoriale, somatizzante, presente ossia completamente calata nel qui e ora, ma soprattutto non antropocentrata ossia non rimasticata e addomesticata dall’essere umano. Nacque così il progetto del corto “L’albero” un filmato che utilizzava l’albero come protagonista, come una sorta di Virgilio per il passaggio nella Naturale Commedia. Oggi, dopo vent’anni, questo lavoro è ancora più attuale, se vogliamo, nel frastuono dei social media e nella distruzione massiva delle grandi foreste tropicali, ovvero della biodiversità del pianeta. La malattia solipsistica sta colpendo l’essere umano in forma sempre più virulenta ed è indispensabile uno scarto culturale molto forte per svegliarsi dal torpore umanistico. L’albero, continua a essere il miglior testimonial.
Qual è l’aspetto più innovativo che le Gis tratteranno per quanto riguarda, invece, le menti animali? Cosa abbiamo tralasciato in questi decenni di studio?
Rispetto alle intelligenze animali, il grande scarto sta nel passaggio da un’etologia cognitiva, alla ricerca di predicati mentali e intenzionali dell’animale come prova di una sua presenza e sensibilità, a un’etologia filosofica che mette in discussione il modello metapredicativo stesso, ossia la dimensione ontologica dell’essere animale, che la tradizione meccanicista di stampo cartesiano ha spiegato facendo ricorso al concetto di automatismo. Se attribuisco una coscienza a una macchina non ricavo ipso facto una soggettività: la macchina al più sarà consapevole del proprio meccanicismo. L’etologia filosofica si sviluppa in quest’ultimo decennio e tra i protagonisti di questa rivoluzione, oltre al sottoscritto, c’è Domenique Lestel che sarà presente quest’anno alle Gis. Pertanto sarà un momento fondamentale per lanciare in modo ufficiale questa trasformazione filosofica ed etologica.
Ci può anticipare qualcosa circa i progetti internazionali sviluppati da Teo Mariscal?
La cinofilia è in fibrillazione da almeno quindici anni, perché la relazione con il cane ha avuto una trasformazione socio-culturale impressionante. Che dire? Il cane è l’animale storicamente più vicino all’essere umano, per cui è comprensibile che vi sia una forte attenzione su di lui. Il forte interesse zooantropologico per le dimensioni di relazione e per la partecipazione del cane in attività socialmente importanti, come l’assistenza e il sostegno, chiedono una riflessione più articolata capace di andare al di là delle tradizionali coordinate educative. La discussione investe l’approccio ionterpretativo dei processi di apprendimento – spesso si è ancora fermi ai modelli behavioristi di inizio Novecento – e delle metodiche di didattiche, che dovrebbero essere maggiormente orientate al coinvolgimento motivazionale e al protagonismo cognitivo del soggetto. Con la comunità scientifica internazionale abbiamo intrapreso un grande progetto di sviluppo della didattica cinofila nell’intento di dare alle prassi di learning e di training quel qualcosa di maggiormente aderente alle conoscenze attuali.
Grazie al prof. Roberto Marchesini e appuntamento sabato 29 e domenica 30 ottobre alle Gis!
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