È quanto si legge sul rapporto di Greenpeace “La plastica nel piatto, dal pesce ai frutti di mare”, sintesi del rapporto “Plastics in seafood, Greenpeace Research Laboratories, 2016” che raccoglie i più recenti studi scientifici sull’impatto ambientale delle microplastiche. “Pur non avendo dati certi di quanta plastica sia presente oggi nei nostri mari, alcuni modelli teorici ne stimano la quantità totale tra cinquemila e cinquantamila miliardi di frammenti (praticamente è impossibile ottenere stime precise) equivalenti in peso a più di 260 mila tonnellate, senza contare i rifiuti di plastica presenti sulle spiagge o sui fondali”.
Un rischio per l’uomo
Si stima che la plastica rappresenti circa il 60-80 per cento dei rifiuti presenti in mare e che accanto ai rifiuti di grosse dimensioni ben visibili a tutti, le macroplastiche o mesoplastiche, ce ne siano altri, le microplastiche, di diametro o lunghezza inferiore a 5 mm. Sono queste ultime a creare un maggiore impatto perché possono essere involontariamente ingerite dagli organismi presenti in mare. Principale conseguenza di questo atteggiamento è la presenza di microplastiche in pesci e molluschi e l’effetto sanitario derivante dal consumo di prodotti ittici contaminati con frammenti plastici. “Un recente studio condotto su 121 esemplari di pesci del Mediterraneo centrale, tra cui specie commerciali come il pesce spada, il tonno rosso e tonno alalunga, ha identificato la presenza di frammenti di plastica nel 18,2 per cento dei campioni analizzati”. Qual è il rischio di tutto ciò? Un trasferimento e un accumulo lungo la catena alimentare per l’ingestione, da parte dei predatori, di prede contaminate. l’ingestione di microplastiche può generare sugli organismi marini due tipi di impatti differenti: di natura fisica (ad esempio lesioni agli organi dove avviene l’accumulo) e chimica (trasferimento e accumulo di sostanze inquinanti). E sull’uomo? “Gli studi che riguardano il possibile effetto tossicologico generato dall’ingestione di cibo contaminato con microplastiche (ad esempio molluschi o pesci) nell’uomo sono ancora agli albori. Tuttavia, considerando che le microplastiche sono presenti in diverse specie ittiche consumate dall’uomo, è verosimile che con l’alimentazione si possano ingerire microplastiche soprattutto nel caso dei molluschi, che sono consumati interi”. Naturalmente sono diversi i problemi che potrebbero derivare dalla loro ingestione, dalla diretta interazione tra le microplastiche e i nostri tessuti e cellule, fino a un ruolo come fonte aggiuntiva di esposizione a sostanze tossiche. Ed è proprio su questo che si concentreranno le ricerche future di Greenpeace.
Proposta di legge
Le microsfere sono utilizzate in tantissimi prodotti domestici, cosmetici e per l’igiene. La proposta dell’associazione ambientalista è “di adottare al più presto il bando alla produzione e uso di microsfere di plastica nel nostro Paese. Su iniziativa dell’associazione Marevivo è stata infatti già presentata una proposta di legge. Si tratta di una misura precauzionale, al vaglio in numerosi Paesi, necessaria per fermare al più presto il consumo umano di questi materiali”.
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