La zona rossa, abbandonata dall’uomo dopo il disastro nucleare di Chernobyl del 1986, si ripopola di fauna. Com’è possibile che gli animali siano sopravvissuti alle radiazioni? Cos’è successo in tutti questi anni?
Chernobyl paradiso terrestre?
Si tratta di circa 4mila km quadrati abbandonati quasi completamente dalla popolazione umana, dove la fauna selvatica si è insediata, riprodotta e continua a vivere indisturbata. Una sorta di paradiso terrestre? Non proprio. La zona rossa del disastro di Chernobyl a cavallo tra Ucraina, Bielorussia e Russia continua ad essere fortemente contaminata, ma oggi, a quasi 30 anni dal disastro, alci, cervi, caprioli, lupi e cinghiali sono tornati a ripopolarla.
Alcuni uccelli mostrano una risposta adattativa sorprendente
Diversi sono gli studi fatti in questo ultimo decennio in cui i livelli di cesio 137 risultano essere ancora elevati. Alcuni degli animali che si sono riprodotti mostrano mutazioni genetiche importanti, quindi il “ritorno alla vita” è solo apparente. Le principali anomalie sono state riscontrate negli uccelli studiati dallo scienziato Timothy Mousseau, biologo dell’università della Carolina del sud, e dal suo collaboratore Anders Møller dell’Università di Parigi Sud. Le rondini che vivono nell’area contaminata da Chernobyl presentano albinismo parziale, becchi deformi, piumaggio della coda asimmetrico o piegato verso il basso. Inoltre, le aree contaminate presentano un livello più basso di biodiversità, con la metà di specie in meno rispetto a quelle di aree incontaminate e una popolazione più bassa di esemplari (circa del 60%), con cervelli più piccoli. È pur vero che altre specie hanno invece proliferato, uccelli non migratori che probabilmente non hanno concorrenti e hanno mostrato una risposta adattativa sorprendente. “Alcune specie di uccelli hanno esibito una risposta adattativa all’esposizione alle radiazioni ionizzanti”, ha spiegato Andrea Bonisoli Alquati, uno dei ricercatori dell’Università della Carolina del Sud, “e in aree contaminate ora mostrano livelli di stress ossidativo e di danno genetico inferiori rispetto a conspecifici che vivono in aree meno contaminate. Ciò è sorprendente, in quanto si tratta della prima dimostrazione di una simile risposta a condizioni di contaminazione radioattiva in una qualunque specie di vertebrati”, laddove, in generale, l’esposizione cronica alle radiazioni ionizzanti deteriora gli antiossidanti e provoca maggior danno all’organismo.
Presenti 36 specie di pesci nei laghi di Chernobyl
Altri studi sui pesci condotti da Jim Smith, oceanografo dell’Università di Portsmouth che ha misurato i livelli di contaminazione presenti nei pesci nei laghi di Ucraina, Bielorussia e Russia, hanno dimostrato che “non esistono evidenti deformità, anche se si è trovato qualche anormalità nel sistema riproduttivo”. Nello stagno usato dal sistema di raffreddamento, altamente contaminato dopo l’esplosione del reattore di Chernobyl, sono state trovate 36 specie di pesci, incluse alcune in via d’estinzione. Nelle aree dove continua l’attività agricola, invece, i livelli di radiazioni sono inferiori rispetto a quelli della zona rossa, e così anche nei pesci. Questo perché il potassio che deriva dai fertilizzanti agricoli inibisce l’assorbimento del cesio 137.
A caccia di lupi
La popolazione dei lupi pare essere cresciuta notevolmente, tanto che la caccia coinvolge tantissimi soggetti, un centinaio l’anno circa. Quelli che non possono essere assolutamente cacciati sono, invece, gli elk, animali da pascolo che si nutrono di licheni e spugne che assorbono le radiazioni come spugne risultando altamente radioattivi. Importanti studi comparativi, inoltre, sono stati fatti anche su Fukushima. “I nostri studi precedenti hanno mostrato una vasta gamma di effetti negativi conseguenti all’esposizione alle radiazioni per la maggior parte delle specie”, ha dichiarato Mousseau. Tali effetti includono la riduzione delle dimensioni del cervello, un aumento della frequenza dei tumori e una riduzione della fecondità e dell’aspettativa di vita. I topi, invece, sembrano avere una naturale immunità per le radiazioni, risultando perfettamente sani.
Gli animali di Chernobyl riescono a riprodursi e concludere il loro ciclo di vita
Oggi, a trent’anni dal disastro, si torna ad analizzare la situazione attraverso uno studio realizzato dall’università di Portsmouth e pubblicato sulla rivista Current Biology. La ricerca si concentra essenzialmente su quali e quanti animali siano presenti nella zona rossa e non quali siano le loro condizioni fisiche. Sta di fatto che, nonostante gli elevati livelli di radiazioni, gli animali riescono a riprodursi e concludere il loro ciclo di vita. Com’è possibile che un territorio off-limits per l’uomo sia invece prospero di vita per le altre specie? Secondo Jim Smith “è molto probabile che i numeri della natura a Chernobyl siano addirittura migliori rispetto a prima dell’incidente, proprio perché gli animali vivono, si riproducono e muoiono senza l’interferenza umana, in un lasso di tempo che non li espone a grandi rischi”. Perché le radiazioni compromettano totalmente un organismo ci vogliono circa 8 anni, lasso di tempo che corrisponde più o meno a un ciclo di vita animale. “I dati unici che abbiamo raccolto dimostrano che oggi un’ampia gamma di specie animali prospera a pochi chilometri dal sito di un terribile incidente atomico”, sottolinea Jim Beasley, ricercatore dell’università della Georgia che ha collaborato allo studio, “e illustrano perfettamente le grandi capacità di recupero che hanno le comunità animali quando vengono liberate dalle pressioni dell’attività umana”. Quanto durerà tutto ciò? Forse poco. Un esiguo coraggioso numero di bracconieri è tornato nella zona a cacciare. A dimostrazione del fatto che la mano dell’uomo è, per la natura, il disastro più grande.
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